Ci sono gare che passano alla Storia e che gli appassionati ricordano per aver rivelato un talento straordinario. Si potrebbero citare molti esempi, da quel casco giallo sbucato in mezzo al diluvio del GP di Monaco del 1984 alla clamorosa vittoria a Monza di un ventunenne tedesco, al volante di quella che rimane comunque la ex Minardi, nel 2008, anche in questo caso in condizioni metereologiche proibitive. Senza dimenticare quella Jordan ritirata nel primo giro a Spa nel ’91, il cui abitacolo era occupato da un altro giovane tedesco. A Barcellona nel 2016 poi, un diciassettenne Max Verstappen colse la sua prima vittoria davanti ad un imbufalito Raikkonen, aprendo quella striscia che prosegue tutt’oggi, come si è visto sul velocissimo quanto insulso circuito cittadino di Jeddah.
Tuttavia la scontata doppietta Red Bull, con l’olandese che ha preceduto il suo compagno di squadra Perez, ormai abbonato ai “compitini” e ad un Leclerc che, nonostante il giro più veloce arraffato nel finale, è apparso un po’ incostante a causa di un retrotreno ballerino, passa in secondo piano di fronte al folgorante debutto di Oliver Bearman, diciotto anni e qualche mese, chiamato in fretta e furia per sostituire Sainz, operato di appendicite. Un po’ come dire che a volte il Destino può manifestarsi anche sotto le vesti di qualche brandello di tessuto intestinale…
La gara è stata comunque di una noia mortale, dato che dopo l’ingresso della Safety car causato dall’incidente di Stroll al settimo giro, tutti, ad eccezione di Norris e Hamilton, si sono precipitati ai box per passare alla gomma dura, così, alla ripartenza, mentre le Red Bull scappavano (Perez non ci ha messo molto a sbarazzarsi di Leclerc che in qualifica era riuscito a centrare un ottimo secondo posto) a cronisti e spettatori non restava altro da fare che chiedersi quante tornate sarebbero durate le gomme medie sulla Mercedes di sir Lewis e sulla Mc Laren di Lando. Bearman, dal canto suo, iniziava la sua diligente rimonta dal decimo posto da cui era partito, complice, concediamoglielo, un giro non impeccabile in Q2, permettendosi anche un po’ di apprendistato sulla gestione del motore elettrico tallonando la Haas del sempre bravo Hulkenberg.
Al trentasettesimo giro, contestualmente al pit stop per passare alla mescola morbida dei suoi ben più esperti connazionali, inizia il capolavoro del golden boy della Ferrari Accademy, costretto a resistere per tredici giri con gomme dure ben più usurate. Nonostante gli atroci dolori al collo, dovuti al fatto di non aver mai disputato una gara così lunga, Olly, dopo aver chiesto al muretto quanti giri avrebbero impiegato Norris e Hamilton a riprenderlo, è riuscito a mantenere un ritmo tale da non far mai scendere il distacco al di sotto dei due secondi, dimostrando una freddezza ed una lucidità impensabili per un ragazzo della sua età, l’opposto del padre (che per la cronaca ha solo tre anni in più di Alonso), che per qualche istante ci ha persino ricordato Pertini sulla tribuna del Bernabeu, dopo uno scambio di pacche sulla spalla con John Elkann.
E gli altri? Piastri con l’altra Mc Laren è rimasto piantato negli scarichi di Hamilton senza mai riuscire ad attaccarlo nemmeno con il DRS aperto a causa della non eccelsa velocità massima sul dritto della sua monoposto ed il suo quarto posto è derivato soltanto dalla sciagurata strategia del suo compagno di squadra e di Sir Lewis di non cambiare le gomme in regime di Safety car. Quinto l’inossidabile Alonso, che prima via radio “Jeddah” la spugna, ammettendo che le Red Bull appartengono ad una altra categoria, poi, con nonchalance, “bacia” le barriere. Un applauso al suo ironico disincanto, che ci induce a sospettare che con l’età si stia ammorbidendo. Che succede, Fernando? Non starai mica invecchiando?
Sesto Russell, che, con quest’arrancante Mercedes, non può nemmeno lui andare oltre al “compitino”, togliendosi però la soddisfazione di essere stato davanti a Hamilton per tutto il weekend.
Dietro di lui lo straordinario Bearman, del quale si è già detto e si dirà ancora molto.
Arrivederci fra due settimane in Australia, sperando che nel frattempo l’Horner-gate che sta sconquassando le dinamiche interne della Red Bull, si concluda definitivamente e sul quale, in questa sede, non sembrava opportuno dilungarci.