Ogni tanto l’automobilismo torna ad essere una cosa seria e ci ricorda che non esiste solo la F1, con le sue tronfie ostentazioni di plutocratica opulenza e la sua costante preoccupazione di risultare televisivamente interessante, nel tentativo di attrarre un pubblico più giovane, con il risultato di essere seguita soltanto da annoiati over quaranta che, un po’ per abitudine ed un po’ per inerzia, celebrano il loro rito domenicale, sorbendosi anche gare ad orari assurdi su piste che spesso, ricordano il parcheggio di un centro commerciale.
No, l’automobilismo è fortunatamente anche molto altro, e l’Endurance forse ne incarna la vera essenza, dato che storicamente, ha sempre riempito gli autodromi quanto e più la F1.
Nel 1973 Enzo Ferrari si trovò ad un bivio, non potendo disporre delle risorse necessarie per correre ai massimi livelli in entrambi i campionati e, certamente a malincuore, scelse la F1, la cui popolarità era in crescita grazie alla televisione, abbandonando quello che all’epoca si chiamava “ Mondiale Marche”. La squadra di F1 venne ristrutturata, arrivarono Lauda e Regazzoni ed il resto è Storia.
Quest’anno però la Ferrari ha deciso di tornare in pianta stabile nella classe regina dell’Endurance, esattamente mezzo secolo dopo il malinconico addio della bellissima 312PB, forse a causa del fatto che la televisione di oggi non è più quella di allora, per cui anche una maratona di ventiquattro ore può essere seguita in decine di modi diversi da qualunque dispositivo, smartphone compreso, come facciamo ormai da anni e che milioni di appassionati in tutto il mondo seguono regolarmente questa specialità.
Perché lo fanno? Forse perché le auto a ruote coperte esercitano un fascino irresistibile, molto più una monoposto o forse perché vi è una sfida che coinvolge un maggior numero di costruttori, oltretutto destinato ad aumentare con l’arrivo di BMW l’anno prossimo. O magari, molto più semplicemente, per la bravura dei telecronisti che, anziché sbraitare a vanvera come ossessi, si limitano a fare il loro lavoro con la consapevolezza di rivolgersi ad un pubblico certamente di nicchia, ma che incarna quello zoccolo duro di appassionati ultra-competenti che tiene in piedi il Motorsport in senso lato. Comunque sia, il momento che tutti sognavano alla fine è arrivato e la casa di Maranello ha annunciato il suo ritorno ufficiale a Le Mans nella top class del campionato, un campionato iniziato in sordina, ma culminato appunto nella splendida vittoria dell’equipaggio Giovinazzi-Calado- Pier Guidi sulla 499P numero 51, dopo una rimonta serratissima ai danni della Toyota a causa di un testa-coda nella notte.
Pur non facendo mistero di una certa avversione per i toni trionfali, è doveroso sottolineare che piloti e squadra hanno fatto un lavoro eccezionale, sia per quanto riguarda le strategie, sia per la qualità di guida, lottando costantemente con un meteo mutevole, il che su un circuito di tredici km può significare asciutto in alcuni tratti ed allagato in altri.
Così, mentre Leclerc e Sainz annaspano, si fa per dire, nella “Massima Formula”, Antonio Giovinazzi (che la F1 ha scartato, come spesso avviene un po’frettolosamente), James Calado (che la F1 forse non ha mai preso in considerazione, pur avendo sempre ben figurato in F2) ed Alessandro Pier Guidi (vecchia volpe delle gare GT) si tolgono l’enorme soddisfazione di riportare la Ferrari alla vittoria sul circuito della Sarthe cinquantotto anni dopo Jochen Rindt e Masten Gregory. Il popolo di veri appassionati, ovvero quelli che leggono Autosprint dall’età di sei anni, quelli che improvvisano grigliate alla Rivazza, quelli che si aggrappano alle reti sfoderando un cronometro professionale, quelli che incontri a Varano durante una gara di auto storiche ed al secondo Brancamenta si convincono di essere a Le Mans nel ’71 e sostengono di vedere Steve Mc Queen camminare sulle acque, sentitamente ringrazia.