Sergio Perez ha meritatamente vinto il GP d’Arabia Saudita, disputatosi sul velocissimo quanto insulso tracciato cittadino di Jeddah. Una vittoria maturata certamente anche grazie alla penalità in cui è incorso il suo illustre compagno di team a causa della sospetta rottura di un semiasse durante le qualifiche, ma che, tempi alla mano, ha dimostrato lo splendido momento di forma del messicano e della sua Red Bull.
Qualcuno, George Russell in primis, ha già messo le mani avanti, dichiarando che c’è il rischio concreto che vincano tutte le gare in calendario e, da ciò che si è visto finora, sembra difficile smentirlo se non aggrappandosi al calcolo delle probabilità o alla magia nera. La Red Bull si è dimostrata efficientissima in ogni condizione, riuscendo a coniugare perfettamente la capacità di generare carico aerodinamico senza rinunciare alla resistenza all’avanzamento, il che, tradotto in parole povere, significa andare fortissimo sia in percorrenza di curva che in rettilineo, senza ricorrere a nessun compromesso, come è accaduto in passato anche alle vetture più vincenti e tutto questo merito di un solo uomo: Adrian Newey, che riuscirebbe a sfruttare persino l’aerodinamica di un’infradito bucata. Potremmo discutere delle qualità di Verstappen, capace di rimontare dalla quindicesima alla seconda posizione facendosi un boccone degli avversari e sfruttando il suo proverbiale “fattore C” che non ha mancato di regalargli una safety-car inutile quanto le guardie del corpo di Jason Momoa, tuttavia il dato di fatto oggettivo è che questa Red Bull sembra appartenere ad un’altra categoria. Il siparietto finale tra Perez, Verstappen ed il muretto sui giri veloci ne è un’ulteriore conferma e sperare che nel corso della stagione possano incorrere in problemi di affidabilità equivale a riesumare quel vecchio proverbio: chi visse sperando…
E gli altri?
Alonso, ottimo terzo con la sempre più convincente Aston Martin paga la sua inesperienza con un’ingenuità al via che gli procura una penalizzazione di cinque secondi comunque sacrosanta. Tuttavia la FIA non perde occasione per mettere in scena il suo consueto spettacolo degli orrori (hanno agito in regime di SC, no, hanno alzato la macchina senza intervenire…), prima buttandolo giù dal podio, poi riammettendolo sulla base di una serie di cavilli e di precedenti più o meno discutibili, dando per l’ennesima volta alla F1 la credibilità di un torneo di boccette.
Se da un lato la Mercedes riesce quasi a salvare la faccia con il buon quarto posto di Russell ed il quinto di Hamilton, la Ferrari, scossa in settimana dalle prime purghe Vasseuriane e dai proclami eccessivamente roboanti della vigilia, che sottolineavano come Jeddah sarebbe stata la gara del riscatto, rimedia un’altra figuraccia, dimostrandosi una vettura mediocre nonché figlia di un progetto congenitamente sbagliato. Benché non si siano visti gli sballonzolamenti del Bahrein, Sainz è stato autore di una gara opaca, nella quale si è visto superare da Stroll con un numero degno di Villeneuve su Alan Jones alla ‘Tarzan’ di Zandvoort nel ’79. Il secondo posto, poi frustrato da un’annunciata penalità, strappato con le unghie e con i denti da Leclerc in qualifica, nasce esclusivamente dall’immenso talento del monegasco sul giro secco. Logico quindi aspettarsi un tentativo di rimonta in gara, magari supportato da una strategia garibaldina che escludesse l’utilizzo delle gomme dure, che da sempre la monoposto di Maranello ha dimostrato di digerire a fatica.
Invece no. Leclerc parte bene e con gomma rossa riesce comunque a togliersi dal centro classifica, ma poi i maghi del muretto pensano bene di farlo rientrare al diciassettesimo giro su cinquanta senza segni di degrado, su una pista per nulla severa con gli pneumatici, per poi montargli la bianca, anziché allungare il più possibile il suo stint e provare con una gialla. Certo, nessuno era in grado di prevedere che il giro dopo Stroll avrebbe causato una Safety Car, tuttavia, vista la situazione, provare a diversificare le strategie avrebbe potuto permettergli una condotta di gara più aggressiva e risparmiarci quella patetica sottospecie di team order alla quale Sainz ha giustamente risposto per le rime. Ma i tifosi stiano tranquilli, Vasseur sa dove intervenire, anche se ci permettiamo di dubitare che John Elkann gli permetterà di usare la dinamite…
Segnalando comunque le ottime gare di Seargent e Piastri, con le derelitte Williams e McLaren, due ragazzini di cui sentiremo ancora parlare che al momento del debutto di Alonso in F1 non erano ancora nati, aspettiamo le romantiche atmosfere autunnali dell’Albert Park in Australia, dove, se non altro, l’assenza di lunghi rettilinei dovrebbe penalizzare meno l’Aston Martin e permettere ad Alonso di provare ad infastidire i due alfieri della Red Bull.